Il libro racconta, con il taglio dell'inchiesta giornalistica, le storie dei tanti senza fissa dimora che passano per una o più notti dal dormitorio pubblico di Torino. Ne esce un affresco di una umanità dolce e dolente insieme, diversa per sentimenti, emozioni, generosità dagli stereotipi che siamo abituati a leggere a proposito dei "barboni". Sono storie di solitudine, di miseria ma anche di solidarietà e di fratellanza fra uomini che hanno fatto la stessa scelta o che la vita ha costretto a fare questa scelta. Ma al centro del libro vi è anche la difficile e complessa relazione che si stabilisce con gli operatori che oltrepassano la soglia appunto della condivisione della sofferenza come condizione essenziale senza la quale è impossibile un dialogo vero con questa parte sempre più larga di umanità. Si dipanano così anche le storie degli operatori che arrivano a questo lavoro volontario provenendo da settori di disagio della società o dalla crisi della politica e della militanza.
Un libro difficile che fa conoscere l'altra parte delle società opulente, quella che non si vede, che si vuole nascondere, che spesso viene considerata fuori dalla normalità e dalla convivenza civile. E ce la fa conoscere stando dalla parte di questa umanità sofferente e dimenticata.
I senza dimora nella decadenza di una civiltà
"Sangue esaltato nei commenti
involucro d'ossa e muto trofeo
giornalistico offeso negl'occhi
non colpo ferisci non tiro molli
t'imponi alla notizia colla tua
ferale morte e mi somigli
sempre più"
Con le parole di un poeta anonimo, recuperate per caso da uno dei tanti giornali di strada, iniziamo ad avvicinarci alle storie raccolte da Chiara Sasso durante la sua frequentazione della Casa di Ospitalità Notturna di via Marsigli in Torino: al di là della retorica caritatevole o sensazionalistica dei commenti giornalistici, e avvertendo forte l'esigenza di narrare il presente partendo dall'esaltante passione di voler sorprendere, lasciando tracce di una esperienza inusuale, seminando, per quanto lo spazio di cento pagine possano permettere, piccole gocce di un nuovo modo di intendere gli altri, ed in particolare gli emarginati dalle condizioni di vita nella nostra contemporanea e un poco barbarica società.
Per quanta intelligenza collettiva disponga la società complessiva, molte delle figure che popolano i nostri quartieri scompaiono alla vista, sono per così dire coperti da una spessa nebbia e sottoposti ad una sorta di processo di annullamento, trattenuti in un nulla che solo la morte per freddo o per calci ricevuti fa emergere alla cronaca; è parte della storia da ricostruire, da rendere ancora una volta storia pubblica, che riguarda ognuno di noi; è la costruzione di una memoria che contempli anche il marcio, il guasto, ciò che i cicli di produzione e riproduzione di tutta quanta la vita gettano "alle ortiche" perché non produttivo.
Le cose della storia comprendono anche le parti negative; si tratta di farla emergere, e non tanto per correggerle - ché la correzione implica un valore o uno stare al mondo ritenuto più giusto -, quanto per capirle e rispettarle per quello che sono; altrimenti è la sopraffazione, è il solito atteggiamento di "colonizzazione" degli altri; ma il negativo è ingombrante, si imprime nel senso comune - altra cosa dal buon senso - come parte da estirpare o, nel migliore dei casi, evitare. Ed è proprio nell'ottica di fare emergere all'attenzione le "cose sporche" che abbiamo deciso di giocare all'attacco questa partita, affinchè il racconto comunicato metta insieme elementi di conoscenza, dove tra rotture e ricominciamenti possibili si possa - finalmente - superare le condizioni sociali che determinano la ferocia dell'emarginazione.
Chiara ha iniziato a lavorare su questo progetto sul finire dell'estate del 1996, in seguito ad un suggerimento di Mario l'Antico, socio storico della cooperativa che da oltre dieci anni gestisce il dormitorio. Alle spalle di Chiara alcune esperienze di "narratrice del sociale", tutte pubblicazioni nate dalla sua osservazione partecipata, quello stare dentro una situazione al fine di descriverla al meglio. Molte storie di vita si intrecciano in quei libri, una sorta di racconto di voci senza interprete principale, un po' come recuperare quel piacere della narrazione "straniata" tanto caro a W. Benjamin e capace di trasmettere esperienza e conoscenza, di farsi memoria di una comunità. Personaggi di quei libri erano le situazioni, anche estreme, cui Chiara veniva a contatto, dai minatori sardi in paradossale lotta per restare sepolti sotto la loro stessa terra alle esclusioni coatte dei malati di mente o alla dignità fuori moda di vecchio partigiano della Valle di Susa; un interesse per quanto di quelle esperienze è possibile trasmettere, non tanto ai fini, sicuramente improbabili, di un esempio da seguire, quanto per permettere una sorta di "presa di coscienza" su aspetti volutamente tenuti nascosti dall'immane apparato comunicativo oggi dominante. Insomma, a Chiara è stato chiesto di fare esattamente la stessa operazione, rendere cioè visibile la particolarità delle vite che si incrociano attorno al dormitorio di via Marsigli in Torino, con l'intento - sicuramente una ambizione per la cooperativa, forse solo un impulso indefinito per Chiara - di far trasparire, dietro i casi e le storie di vita presentate, la condizione generale delle persone senza fissa dimora.
Nel delineare l'operazione siamo partiti dalla volontà di raccontare pubblicamente quanto si configura ogni sera nella Casa di Ospitalità Notturna di via Marsigli, cioè dall'incontro tra noi operatori e quelle persone che, trovandosi in condizioni di emarginazione, sono escluse dal godimento dei diritti di cittadinanza. Un incontro - per intenderci - che mette in relazione persone che per scelta o necessità lavorano nell'ambito dei servizi socio-assistenziali con persone che di quei servizi sono fruitori.
Diverse vicende si incontrano in quella sede, mal definite e contraddittorie, le cui diverse evenienze propongono quesiti di difficile
soluzione, identificabili come quesiti "sociali", nel senso che riguardano un ambito ben più ampio di quello in cui avvengono. Per intanto, tutte le sere in via Marsigli povertà "vecchie", che derivano da condizioni penalizzanti fin dalla nascita, e povertà "nuove", frutto di grandi rovesci sociali e individuali, si incontrano con persone che sono chiamate a rispondere "con responsabilità professionale" ai problemi di gestione della struttura, entrambi, utenti ed operatori, obbligati a fare i conti con il mercato della solidarietà, cioè a riversare sentimenti, illusioni, punti di vista, in uno scambio comunicativo ed esperenziale reso precario e fragile dai meccanismi perversi della concorrenza cui sono costretti, in istato di smantellamento delle politiche sociali, anche i servizi alla persona; non a caso tutti gli agenti dell'incontro che avviene nel dormitorio di via Marsigli, pur nelle differenze di prospettiva e di possibilità, possono scivolare "sul lastrico" e ritrovarsi tutti disposti davanti alla speranza di vincere qualche cosa.
E si fissa, tutte le sere, tra le mura della Casa di Ospitalità, la labilità del confine tra il "fuori" e il "dentro": ogni operatore registra, dentro la propria coscienza, i mutamenti che avvengono nella società e - di riflesso - internamente al fenomeno dei senza fissa dimora, riportandoli, filtrati dalla propria sapienza professionale, nella gestione del dormitorio trasformati in comportamenti d'accoglienza e in modalità di approccio; ogni ospite, da parte sua, viene travolto dagli stessi mutamenti, viene vinto dalla storia, e propone, nella sua permanenza entro la Casa di via Marsigli, comportamenti e tensioni che sono espressione del proprio quotidiano destrutturato. Da questo incontro, collaborativo o conflittuale che sia, nasce una relazione particolare, in grado, a livello delle situazioni "ad alto rischio" che si conoscono "dentro", di permettere un interessante approfondimento conoscitivo del "fuori" - che quelle situazioni, comunque, determina.
L'universo è il medesimo, cambia la posizione occupata dai contraenti quella particolare relazione, per quanto, paradossalmente, nella situazione di crisi generale che attraversa la nostra società, operatori e utenti sono per così dire "unificati" proprio nella loro frequentazione dei servizi. Da una parte, dunque, gli operatori come agenti principali dell'intervento socio-assistenziale in favore dei senza dimora, dall'altra gli utenti, appunto i senza dimora come soggetti che si rivolgono agli appositi servizi per ricevere risposte al proprio disagio. La relazione che si esercita è, al contempo, non formale e istituzionale, definibile, appunto, come situazione ad alto rischio; intanto, perché gli operatori corrono costantemente il rischio di "cronicizzare" ulteriormente il disagio, nel senso che sono la "personificazione" di modalità di accesso o di pratiche d'intervento che pongono il senza dimora nella condizione di dover dipendere dall'assistenza; poi, in aggiunta di stimolo teorico, l'operatore si vive sulla pelle, per quanto spesso inconsciamente, l'insoddisfazione per il ruolo di "controllo sociale" che gli è affidato dalla comunità normativa, indove devianza e disagio sono fatti rientrare in parametri di classificazione alieni dalla persona nella sua interezza; fino a giungere ai rischi connessi all'ulteriore emarginazione cui incorrono gli ospiti che non possiedono "quell'elevato grado di conoscenze e di capacità burocratiche" necessarie ad accedere a molti dei servizi disponibili, a quei rischi cioè dovuti alle alte soglie di accesso. Dunque la relazione avviene, si stabilisce secondo modalità variabili, ora con la formalità dell'ascolto precostituito, ora con la leggerezza di una partita a carte; in ogni caso, l'operatore è sempre preso dall'attenzione di "non proporre nulla" che l'utente non sia in grado di recepire con consapevolezza, ed è molto attento nel porsi di fronte all'utente non come semplice "portatore di sintomi di disagio", ma come persona capace di esperienze e bisogni particolari, basando il suo approccio su di una sorta di "distanza critica" che gli permetta di valutare ogni passo o proposta successiva; e l'utente, da parte sua, si da disponibile al coinvolgimento oppure resta interessato alla risposta cui l'operatore è preposto - il posto letto, una coperta calda, un po' di sapone per la doccia -, pur non sottovalutando, sempre e comunque, le opportunità che ogni operatore potenzialmente rappresenta, cercando in lui un "complice" per aggirare le rigidità delle norme e delle regole che sottostanno al funzionamento dei servizi.
Su tali linee generali si snocciola l'incontro tra i diversi soggetti che abitano o che gravitano attorno alla struttura di via Marsigli 12 in Torino, dormitorio di pronta accoglienza. Ed è a partire dalla forte esigenza e volontà di rendere visibile quell'incontro - e l'esperienza che ne consegue -, che gli operatori della cooperativa sociale Parella hanno chiesto a Chiara Sasso di impegnarsi in questo progetto, al fine di trasformare la relazione tra loro e alcuni senza fissa dimora in "scrittura da divulgare", in materiale capace - ci auguriamo - di "imbarazzare" al punto giusto ogni lettore, così da spingerlo all'opera meritoria di far cessare una volta per tutte le cause che determinano socialmente l'emarginazione.
Ciò premesso, addentriamoci nell'intreccio di storie raccolte da Chiara, e non tanto per farne riassunto o bignami in sostituzione della
lettura completa del libro, quanto per tentare una ipotesi di discussione, con argomenti da riprendere in spazi e luoghi interessati. Ci preme suggerire in anticipo la ricchezza centrale dell'operazione: far risaltare all'evidenza la specificità di una situazione in cui è reso evidente -nella persona emarginata - il ripercuotersi negativo del mancato compimento del ciclo lavoro-casa-salute, leggendovi in essa situazione la crisi di decadenza che attraversa tutta quanta la civiltà occidentale, la quale, al di là di ogni buona intenzione, non può che costringere parti sempre più ampie di popolazione a svolgere la propria vita nell'angusto spazio della marginalità o a trascinarsi stancamente dietro obiettivi di ricchezza possibili solo per pochi privilegiati.
La trama delle storie raccolte e raccontate da Chiara intreccia persone "senza fissa speranza" con altre che della speranza fanno la propria storia, i giocatori per mestiere, saliti or ora alla nobiltà delle pagine di stampa o televisione per il perpetuarsi dell'immancabile truffa; e se in questi secondi non è difficile cogliere gli aspetti di incertezza e di preoccupazione per un sistema di vita che tende ad eliminare dai concetti portanti quello del "posto fisso" e della relativa tranquillità economica - è la coazione alla flessibilità, l'ergere di nuovo l'economia a unica e vera fede, e in questa al solito ricercare ulteriore "valore" -, per i primi, in realtà gli "ultimi" nella scala sociale, cioè per i senza fissa dimora come soggetti, il libro di Chiara può finalmente mostrarci come impraticabile la tesi romantica secondo la quale era il "barbone" a scegliersi la propria condizione di "escluso", decretando in aggiunta la fine di una cultura letteraria che attribuiva a tale figura nuove e provocatorie peculiarità "alternative". Una adeguata lettura "tra le righe" dell'agile narrazione di Chiara Sasso permette inoltre di ribadire la validità di un modello multifattoriale nella valutazione del fenomeno, da intendersi come la commistione, nello stesso individuo, di situazioni esterne sfavorevoli e di eventi di vita soggettivamente negativi o stressanti, il cui risultato è l'aumento del rischio che lo stesso individuo ha di vivere per strada.
La capacità di fare emergere la complessità degli intrecci soggettivi e storici che conducono un individuo ad occupare una posizione "ai margini" dell'insieme degli scambi sociali, è ciò che rende il libro di Chiara Sasso indispensabile in questa particolare fase in cui la definizione delle caratteristiche del fenomeno delle persone senza fissa dimora è resa quanto mai difficile dalla scarsità di dati e riscontri; se a ciò si aggiunge la tradizionale difficoltà di compiere territorialmente inchieste appropriate e la vera e propria censura che colpisce la diffusione dei dati ufficiali, il libro di Chiara può assumere una valenza di "apripista" nella comprensione del fenomeno generale e può anche, con qualche accorgimento mentale, cioè con un lavoro da parte del lettore, riassumere in forma narrata la realtà del fenomeno della povertà, indove lavoratori precari, sottopagati, disoccupati o pensionati, insieme ad altri soggetti collocati, appunto, "ai margini", quando non riescono a far fronte alla riproduzione della propria vita e sono sommersi di problemi familiari e/o relazionali, sono costretti "a vegetare sull'elemosina pubblica": la persona senza fissa dimora è infatti messo nella situazione di non poter rispondere costruttivamente agli "stimoli" disgreganti che giungono dall'ambiente sociale, e dunque impossibilitato a vivere il presente e come derubato dal futuro.
L'insieme di fattori disgreganti dovuti all'appartenere a parti "svantaggiate" della società, insieme a particolari fenomeni tutt'altro che contingenti quali l'immigrazione, la tossicodipendenza, l'alcolismo o la prostituzione, dimostrano come il fenomeno dei senza dimora abbia ormai acquisito una dimensione e una visibilità tale da connotarlo come "preoccupante". A riprova di questa affermazione, si considerino i dati della "Commissione Governativa di indagine sulla povertà e sull'emarginazione": nel periodo compreso tra il 1980 e il 1995 le famiglie in condizioni di povertà sono passate dall'8,3 al 10,6 del numero totale, di cui il 13% senza dimora; la stessa Commissione - tramite un apposito Rapporto pubblicato nel 1994 e, aggiornato, nel 1996 - evidenzia come la tendenza all'aumento dei senza dimora entro il discorso sulle povertà "sia correlata con l'andamento congiunturale dell'economia italiana" e come il fenomeno acquisti maggiore incidenza in presenza di bassa scolarità, particolarità della zona di residenza, situazione anagrafica, scarsità di offerte lavorative, insieme a fattori più specificatamente individuali tipo l'isolamento relazionale e affettivo, il convergere di diverse "forme" di emarginazione, l'assenza di capacità di progettazione personale. Anche la politica dei tagli alla spesa sociale e sanitaria influenza l'aumento delle persone senza dimora; questa scelta - confermata anche dalla Commissione Onofri di riforma dello stato sociale - costringe le fasce marginali della popolazione a vivere nell'abbandono e nell'estrema povertà; per non dire della non disponibilità di case in affitto a basso costo, della mancanza di una seria politica abitativa e del blocco della costruzione di case popolari. Se è vero, come rileva Tosi, che "l'esclusione abitativa è
soltanto una componente di un disagio più vasto", è anche vero che stiamo assistendo ad una crescita vertiginosa della presenza di sfrattati e, in particolare, di persone che, non rivolgendosi ai servizi, sono costretti a dormire in stazioni, presso pubblici giardini o sotto porticati coperti di cartone - nel libro di Chiara questo aspetto è reso all'attenzione sgomitolando il lavoro notturno della unità mobile denominata Boa Urbana, nata per volontà degli operatori della cooperativa e caratterizzata dall'inversione del tradizionale rapporto utente-servizio: in questo caso è il servizio ad andare incontro a chi vive sulla strada, con modalità diversa dalle solite "finalità di recupero" (a che cosa? Perché?), e rispettando i vissuti delle persone e non proponendo alcun tipo di rapporto contrattuale.
Non importa la coerenza delle storie singole, la loro positività; queste sono storie insieme negative e positive, capaci di fomentare, nel loro rilevare il guasto, sani dubbi sui meccanismo generali di funzionamento delle nostre società, non foss'altro perché i significati di cui si circondano, le passioni o le crepe che raccontano, ci evocano propositi di rivalsa da non riporre in false speranze del tipo la partecipazione a giuochi a premi, ma in pratiche sociali tese a "cambiare la vita".
Questo è la segreta anima che volevamo sperimentare dando queste esperienze in pasto, per il tramite della scrittura di Chiara Sasso, alla voglia di sorprendersi dei nostri potenziali lettori, immaginandoci un incontro e uno scambio comunicativo capace di sviluppare, dallo specifico in oggetto, una avventura verso la comprensione della totalità della vita umana.
Gli operatori dell'equipe di via Marsigli